Un’avventura grafica in pixel-art, con ambientazione cyberpunk e colonna sonora synthwave/chiptune/metal: per me VirtuaVerse aveva già vinto prima di giocarlo, ma il bello è che ne esce vincitore anche dopo averlo finito. In genere quando c’è almeno uno di questi elementi in un videogioco, la mia attenzione viene automaticamente catturata, ma in questo caso è stata una continua sorpresa, perché i ragazzi di Theta Division (quasi tutti italiani, tra l’altro) sono stati capaci di mettere assieme una serie di cose che adoro, dalle (vecchie) avventure grafiche, fino alla musica elettronica, passando per il cyberpunk che ora più che mai è un tema caldo in ambito videoludico.
Per quanto il genere “avventura grafica” si sia evoluto negli anni, arrivando fino ai “walking simulator” (che comunque adoro), ritrovare oggi avventure che richiamano in tutto e per tutto quelle degli anni ’90 come ha fatto (egregiamente) qualche anno fa Thimbleweed Park, è sempre un piacere. E lo è ancor di più quando non viene trascurato alcun dettaglio, i richiami al passato e le citazioni sono ricorrenti, e tutto riesce a funzionare oggi, nel 2020, proprio come ieri.
In tutto e per tutto, anche negli aspetti collaterali: infatti non vi nascondo che sono dovuto ricorrere a qualche “aiutino” per portarlo a termine. Eh sì, perché all’epoca, quando YouTube ancora non esisteva, in questo genere di giochi, vuoi o non vuoi, ci si bloccava, e l’unica via d’uscita era chiedere aiuto a qualche amico che già lo aveva finito, o andare all’ardua ricerca di una rivista cartacea su cui era stata pubblicata la soluzione.
Il mio viaggio in VirtuaVerse non è stato quindi solo una piacevole avventura, ma anche un tuffo in quel passato fatto di floppy disk, personal computer con sistema MS-DOS, monitor CRT, enigmi al limite della comprensione umana e quel pizzico di humor che non può mancare in un’avventura grafica che si rispetti. Vero Guybrush?!
In un futuro non troppo lontano, in cui la maggior parte della popolazione si è fatta impiantare dei chip per vivere in una sorta di realtà virtuale permanente e continuamente ottimizzata in base alle proprie esigenze, impersoneremo Nathan, che invece è uno dei pochi che non ha voluto cedere alle lusinghe della nuova tecnologia, né alle leggi di alcuna intelligenza artificiale.
La sua vita era apparentemente tranquilla, finché una mattina si sveglia e, oltre a distruggere rovinosamente il suo visore, scopre che la sua fidanzata Jay è misteriosamente scomparsa, lasciando un messaggio sullo specchio del bagno che non lascia presagire nulla di buono.
È così che la “banale” ricerca della fidanzata si trasforma in un viaggio che lo porterà ad affrontare avventure e dilemmi ben più grandi di lui, tematiche attuali come quelle dell’intelligenza artificiale, a visitare luoghi che non avrebbe mai immaginato potessero esistere, e di cui non starò a raccontarvi altro per ovvi motivi.
In VirtuaVerse tutto funziona, oggi, nel 2020, come ieri
Apro una piccola parentesi per coloro che si fossero imbattuti per la prima volta nel genere delle “avventure grafiche”, un genere molto in voga negli anni ’90, principalmente su PC, conosciute anche come “punta e clicca” proprio perché il gameplay si basava sull’utilizzo del mouse, grazie al quale bastava spostare il cursore e cliccare in un punto per muovere il personaggio o interagire con gli oggetti presenti sullo schermo. Beh, per molti è cosa scontata, ma sarebbe bello se qualche giovincello che (ahimè) sta crescendo con Fortnite e simili potesse scoprire e appassionarsi a questo genere (tantissime iconiche avventure grafiche sono ormai di pubblico dominio , ndr)
Tornando al gioco vero e proprio, o meglio, all’interfaccia, non aspettatevi lo SCUMM (niente menù con azioni e inventario in basso quindi): di volta in volta il cursore vi darà la possibilità di osservare (lente d’ingrandimento) o interagire (chiave inglese, fumetto, etc) con personaggi e oggetti. Premendo il tasto “I” troveremo l’inventario e premendo “J” avremo una sorta di smartwatch che ci ricorderà qual’è il nostro obiettivo attuale, per tenere sempre alto il focus. Un’interfaccia nel complesso molto semplice e intuitiva, che lascia tutto lo schermo alle ambientazioni pixel-art da cui traspare un mondo cyberpunk canonico (e distopico), con tanto di pioggia (quasi) onnipresente, neon, ologrammi e quant’altro abbiamo già potuto vedere in altre opere del genere, videoludiche e non.
Inutile dire che proprio come ai vecchi tempi, il segreto è quello di cliccare su qualsiasi cosa/luogo interagibile, per non perdersi nessun indizio od oggetto nell’inventario e ritrovarsi poi senza la minima idea di cosa fare per andare avanti. Sarà perché di avventure grafiche ne ho giocate, ma farlo mi è venuto naturale, così come parlare con chiunque di qualunque cosa; questo ha reso molto scorrevole l’avventura, soprattutto nella prima parte di gioco.
Una perla del genere punta e clicca, ben confezionata sotto ogni aspetto e rarissima, di questi tempi
La maggior parte degli enigmi richiedono infatti solo una certa attenzione ai dettagli, esplorazione ed anche un pizzico di “esperienza”, quello sì. Se lo giocate in maniera superficiale, più andrete avanti e più sarà difficile raccapezzarvi: basta una frase a cui non darete troppa importanza, un oggetto che non viene analizzato per bene, per lasciarvi minuti, se non ore (oppure l’eternità) senza la benché minima idea sul da farsi. Io ho passato più di 15 ore su VirtuaVerse e come me, in molti si troveranno in situazioni simili, per poi dire “cavolo, come ho fatto a non pensarci?!“
Il bello è anche questo: bloccarsi, girare e rigirare alla ricerca di quel dettaglio sfuggito, rappresenta l’elemento di gameplay chiave del genere che, per quanto in alcuni casi frustrante, VirtuaVerse coglie in pieno. Gli enigmi sono quasi tutti logici e difficilmente dovrete fare cose “insensate”, ma comunque se non avrete abbastanza pazienza potreste dover ricorrere a qualche walkthrough su YouTube. Ma non preoccupatevi, dal mio punto di vista “fa parte del gioco”.
Per fortuna le sezioni sono abbastanza circoscritte, quindi non vi ritroverete a dover tornare nella primissima stanza per risolvere un enigma avanzato; man mano che si prosegue nell’avventura, cambieranno ambientazioni, personaggi e quant’altro. Il backtracking è quindi relativamente limitato, ma in alcuni casi ci sarà da armarsi di carta e penna, per prendere appunti e risolvere (con molta soddisfazione) alcuni degli enigmi.
Per quel che riguarda i personaggi, devo dire che forse si tratta dell’elemento meno riuscito del gioco (ma non in maniera assoluta): nessun personaggio, a cominciare dai protagonisti, verrà ricordato per sempre, vuoi perché la maggior parte di loro recitano la loro parte e poi “scompaiono”, ma probabilmente è anche perché un gioco simile non può non esser paragonato a pietre miliari del calibro di The Secret of Monkey Island, Day of the Tentacle, etc; e chiunque ne uscirebbe sconfitto da un confronto con Gilbert e Schafer.
Una gioia per gli occhi di chi è cresciuto con 286 & co
Allo stesso modo, non aspettatevi una storia memorabile, ma un’avventura piena di ottimi spunti e qualche colpo di scena, con dei dialoghi che lasciano sempre spazio all’ironia e a quelle immancabili domande “senza senso” che i più attempati apprezzeranno. Le citazioni all’epoca e al genere poi sono tantissime, e vanno dai dispositivi come il Power Glove di Nintendo, ad altri con nomi distorti come la “Lorraine 500“, fino a degli scenari che richiamano alcune scene indimenticabili delle storiche avventure grafiche.
Nulla da dire sull’aspetto grafico, curatissimo e rispettosissimo sia nei confronti della “vecchia scuola pixellosa”, sia nei confronti del genere cyberpunk (da cui prende le tipiche tonalità cupe e allo stesso tempo fluo). Si passa dagli scenari metropolitani alla Blade Runner, a quelli post apocalittici del 2049, fino a scenari sci-fi e altri che sono sicuramente un po’ meno cyberpunk, ma che hanno il sapore di LucasArts. Il risultato visivo è egregio in ognuno dei casi e vi troverete spesso a premere F12 per screenshottare una scena particolarmente suggestiva. Anche i personaggi sono ben caratterizzati sotto questo aspetto, così come le animazioni in generale, comprese quelle dei fondali, sempre e comunque “vivi”. Una gioia per gli occhi di chi è cresciuto con 286 & co.
Una nuova-vecchia avventura grafica, con tutti gli elementi che l’avrebbero resa un gioco di successo all’epoca, di cui forse si parlerebbe ancora oggi
A chiudere il quadro c’è una colonna sonora spettacolare. Se amate i sintetizzatori, la musica elettronica in generale, ma anche un pizzico di rock/metal, Victor Love ha confezionato una soundtrack che accompagna alla perfezione l’avventura, senza mai stufare o risultare ripetitiva, anzi, bella da ascoltare anche al di fuori del gioco (potete farlo qui). Si tratta dell’elemento che va ad unire tutti gli altri, rendendo VirtuaVerse una perla del genere punta e clicca, ben confezionata sotto ogni aspetto, e rarissima, oggigiorno.
Mettendo da parte il sentimentalismo, le mie passioni (molte delle quali riunite in questo titolo), c’è da dire che oggettivamente VirtuaVerse riesce nell’impresa di rendere attuale un gioco che è in tutto e per tutto degli anni ’90. Il che non è un’impresa da poco. Una nuova-vecchia avventura grafica, o punta e clicca, che la si voglia chiamare, ma con tutti, e dico TUTTI gli elementi che l’avrebbero resa un gioco di successo all’epoca, di cui forse si parlerebbe ancora oggi. Molto probabilmente oggi non sarà così, trattandosi di un gioco che, nonostante il ritorno in auge del genere “adventure” sotto altre forme, è principalmente destinato a compiacere noi “vecchietti”. Tuttavia una chance gli andrebbe data anche se amate almeno uno dei suoi elementi chiave: cyberpunk, musica elettro/chiptune/metal, grafica pixel-art, e ovviamente le avventure grafiche. A prova di qualsiasi PC, trovate VirtuaVerse su Steam. |
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