C’è qualcosa di magico e affascinante in Werewolves Within. Qualcosa che va ben oltre la tanto chiaccherata Realtà Virtuale o qualsivoglia discorso di carattere meramente tecnologico: qualcosa che, oggigiorno, pensavamo di aver dimenticato nel nostro passato e che, per certi versi, mai avremmo pensato di rivivere attraverso la lente del videogioco. Molti di voi avranno sicuramente sentito parlare di Assassino, Mafia o Licantropo: alcuni probabilmente ci avranno anche giocato in compagnia di amici, in una di quelle classiche serate fredde dove poco rimaneva da fare se non sedersi attorno ad un tavolo, munirsi di fogietti di carta e matite e, tra una risata e una poker face da manuale, diventare dei novelli Cal Lightman alla ricerca del “colpevole”. Non a caso, la meccanica dei tre celebri giochi appena citati – riportata in auge dal celebre gioco da tavolo Lupus In Tabula – è tanto semplice quanto geniale: a ciascun giocatore viene assegnato casualmente un ruolo specifico, avente “poteri” più o meno utili per rispondere alla domanda portante della sfida: chi è il famigerato Lupo Mannaro travestito da innocuo essere umano?
Alla base di tutto questo, ovviamente, c’è la dialettica. Una dialettica serrata, senza esclusione di colpi, incline al bluff e al doppiogioco a seconda del ruolo impersonato: dalla captatio benevolentiae del cattivo, necessariamente costretto a mentire per far cadere altrove gli altrui sospetti, alla retorica “presunta infallibile” di chi, nei panni dell’onesto giocatore, ritiene di aver sbrogliato la delicata matassa e cerca di convincere gli altri, immancabilmente diffidenti, della propria tesi. Werewolves Within, creatura di Ubisoft destinata alla Realtà Virtuale di PlayStation 4 e PC, rappresenta l’ultima evoluzione cronologica di questo gioco strategico, perché davvero di strategia pura stiamo parlando, che da decenni coinvolge interi gruppi di amici. Un titolo che, in un contesto da giocatore solitario come quello introdotto da Oculus e PlayStation VR ha quasi del rivoluzionario: mai prima d’ora ci eravamo ritrovati così faccia a faccia con altri giocatori, discutendo con loro, usando la nostra voce con astuzia, analizzandone ogni singola parola con attenzione. Un titolo che, con un colpo da maestro, diventa un meraviglioso pretesto per favorire l’interazione con altri esseri viventi: qualcosa che, difficilmente, vedrete mai fare da delle fredde righe di codice.
La storia alla base di Werewolves Within, o forse è il caso di dire la scanzonata cornice narrativa che fa da teatro alle sfide offerte dal titolo, è semplice ed immediata: nella piccola cittadina medievale di Gallowston si nascondono i Licantropi. Sono mascherati da esseri umani, vivono in mezzo agli altri abitanti come nulla fossa ma, sotto quella pelle all’apparenza normale, si nascondono una folta pelliccia scura e delle zanne minacciose. Come smascherarli? Basta indire un consiglio, sedersi tutti attorno ad un tavolo ed iniziare a parlare, pesare le parole di ciascuno, percepirne dettagli e vibrazioni che normalmente passano in secondo piano. Ed infine votare, decidere democraticamente chi sia il presunto Lupo ed eliminarlo.
Quanto appena detto è più che sufficiente ad approcciarvi a Werewolves Within con la giusta curiosità, motivata dal presupposto – che ribadiamo ancora una volta, non fosse ancora abbastanza chiaro – che quello del titolo Ubisoft rappresenta il miglior utilizzo della Realtà Virtuale, almeno su PS4, dal giorno del suo esordio. Werewolves Within è un titolo multigiocatore per ovvi motivi, che fa sedere attorno allo stesso tavolo da un minimo di 5 ad un massimo di 8 giocatori e inesorabilmente li spinge a parlare (in italiano, tranquilli). A mentire, a giocare d’astuzia, a stringere alleanze estemporanee con altri giocatori o, perché no, ad attirare strategicamente a sé i sospetti di tutti gli altri per portare a compimento un macchiavellico piano. Il motivo? Ve lo spieghiamo subito.
Werewolves Within vanta una dozzina di ruoli differenti, associati casualmente a ciascun giocatore all’inizio di ogni incontro – della durata prefissata di 5 minuti, scaduti i quali sarà necessario votare e decretare la vittima di turno. Ogni ruolo è segreto, ma salvo un paio di eccezioni ogni giocatore è libero di rivelarlo agli altri. Rivelarlo, o mentire spudoratamente per coprire la propria condizione: del resto è abbastanza intuitivo, dichiararsi Lupo Mannaro all’avvio della partita potrebbe non essere la mossa più saggia da effettuare. Anche se, a ben vedere, l’ultima affermazione non è del tutto esatta…
È questo il caso del Disturbato, l’immancabile rinnegato dell’intero gruppo: un abitante del villaggio destinato a vincere la partita se attirerà a sé abbastanza dubbi da essere eliminato. Una figura scomoda ma estremamente brillante, che richiede doti diplomatiche non certo indifferenti per muovere di volta in volta sospetti e catalizzare rapidamente le antipatie dei restanti giocatori. Già, ma di quali? Da un lato abbiamo gli Abitanti, vittime predestinate della furia dei Mannari che, per intuire la reale minaccia, dovranno far affidamento esclusivamente al proprio intuito: un compito tutto tranne che facile, laddove muoversi nella totale oscurità renderà difficoltoso anche solo capire chi stia dicendo effettivamente la verità, prima ancora di sbilanciarsi in accuse formali. Dall’altro, come anticipato al paragrafo precedente, abbiamo un microcosmo di ruoli “speciali” che si contrappongono ai Lupi Mannari e al Disturbato sfruttando un potere caratteristico. Il Santo, ad esempio, conosce sin dall’inizio l’identità dei Lupi in gioco: la sua identità deve però rimanere segreta, laddove un semplice passo falso lo renderebbe subito identificabile dal club dei cattivi che si coalizzerebbero per eliminarlo e vincere l’incontro. Il Veggente può invece osservare le stelle per scoprire il ruolo di un personaggio casuale seduto al tavolo: utile per smascherare eventuali bugiardi e, conseguentemente, architettare una manovra di convincimento adeguata. L’Osservatore, dal canto proprio, riceverà informazioni su due giocatori distinti: una di queste informazioni tuttavia sarà falsa, lasciando a lui il compito di intuire quale.
Questi sono soltanto alcuni dei ruoli disponibili in Werewolves Within: alcuni ci diranno se i Lupi siedono alla nostra destra/sinistra senza tuttavia indicarci dove di preciso, altri ci daranno conferma della presenza di uno specifico ruolo o dell’assenza di altri dalla partita corrente. A tal proposito, vale la pena sottolineare come nessun giocatore avrà mai l’informazione certa sui personaggi effettivamente presenti nella sfida in corso: un ulteriore vincolo di libertà per i professionisti del bluff e del depistaggio, a patto di badare la giusta attenzione a non essere smascherati o a non cadere in contraddizione. Conseguenza della numerosità di ruoli è la presenza di un set di possibili condizioni di vittoria distinte: i Lupi e il Traditore potranno accanirsi sul Santo, se convinti di averlo individuato, portando comunque a casa il risultato se ad essere eliminato sarà un qualsiasi cittadino ad esclusione del Traditore. I cittadini, che potranno nominare un Capovillaggio il cui voto finale vale doppio, potranno vincere eliminando la minaccia pelosa, cercando di non cadere nei tranelli dell’onnipresente Disturbato e nei sordidi magheggi dei Lupi – che conosceranno le rispettive identità dall’inizio dello scontro, con tutte le conseguenze del caso.
Il miglior utilizzo della Realtà Virtuale su PS4 dal giorno del suo esordio
Noterete come, volessimo sbizzarrirci con una metafora dal sapore matematico, nel sistema di Werewolves Within ci sono moltissime variabili e pochissime equazioni, condizione per la quale è estremamente difficile trovare una soluzione certa. All’interno di ogni match vige l’imprevedibilità, come testimoniano i primi secondi di gioco in cui quasi tutti finiscono per dichiararsi Abitanti per poi iniziare – chi con la logica, chi grazie al proprio ruolo – a scavare la superfiche alla ricerca della verità. Interazione, dialogo, creazione di un rapporto con i nostri vicini di sedia: queste le fondamenta di Werewolves Within, un universo dove le regole sono pochissime e dove l’intuito, la logica e il gioco degli inganni vanno armoniosamente a braccetto. Dove tutto, mai come questa volta, è nelle labbra del giocatore, che indipendentemente dal proprio ruolo avrà un bel da fare a gestire le altrui bordate dimostrandosi convincente agli occhi degli altri.
Difficile descrivere una partita tipo di Werewolves Within, laddove l’imprevedibilità delle situazioni e dei comportamenti avversari rende ogni incontro una sfida a sé stante sul cui esito è difficile fare previsioni. Si entra in gioco, e statisticamente ci si ritroverà circondati da una flotta di presunti Abitanti – o almeno giocatori che si dichiarano tali. Tocca dunque ricavare quante più informazioni possibili discutendo, cercando di spingere altri in contraddizione, confutando quanto dichiarato da un altro giocatore – tenendo ovviamente bene a mente il proprio ruolo – per muovere la situazione a proprio vantaggio. L’esempio più semplice è quello del Lupo Mannaro, immediatamente notificato sull’eventuale presenza di altri lupi nel tavolo e costretto a giocare di fino. Come? Individuando il possibile Traditore o il Santo se presenti, depistando le osservazioni nemiche con una dialettica convincente volta a far cadere il sospetto su un Abitante qualsiasi, cercando di scoprire chi tra i presenti possa essere il Disturbato e, per il bene della propria squadra, spacciarsi per un Pettegolo o un Osservatore e sostenere la di lui innocenza. Capirete da soli come questo possa essere solo uno dei numerosissimi casi di gioco possibile, declinati di volta in volta in base alle sorprese riservate dalla sorte: sorprese che, scaduti i 5 minuti di gioco, giungono al pettine come i proverbiali nodi, svelando chi effettivamente ha avuto lo sguardo lungo e chi, inesorabilmente, è caduto in uno dei tranelli orditi.
A questo punto, tuttavia, viene più che lecito porsi una domanda: perché la Realtà Virtuale? Serve davvero la nuova tecnologia di Oculus/HTC e PlayStation per reinterpretare un gioco che, nella sua versione originale, prevedeva al massimo l’uso di qualche foglio e di una matita? La risposta, ancora una volta quasi a sorpresa, è estremamente positiva. Non tanto in termini di tecnologia, che raggiunge comunque livelli abbondantemente sopra la soglia della soddisfazione, quanto piuttosto per le possibilità e le meccaniche rese possibili proprio dall’hardware virtale. Nella versione PS4 da noi provata (equivalente in tutto e per tutto a quella PC, con tanto di cross play tra i possessori di piattaforme differenti grazie ai server di Ubisoft Play) non solo abbiamo apprezzato il livello di immersione regalato da Werewolves Within, al punto da sentirci quasi in imbarazzo durante i primi incontri trovandoci costretti a parlare con perfetti sconosciuti, ma a lasciarci di sasso è la reazione degli altri PG di fronte ai nostri occhi. Come essi gesticolano in modo tutto sommato naturale nel mezzo di una discussione, il movimento delle labbra e il cambio delle espressioni facciali pilotate dal tono della voce di chi parla, gli sguardi scrutatori che ci fissano con occhi gelati al punto da metterci in soggezione. Aggiungete la possibilità di alzarvi in piedi, per costringere i rimanenti del gruppetto al silenzio e dare maggiore enfasi alla vostra solenne tesi, vera o falsa che sia, o la possibilità di sporgersi a destra e sinistra in direzione del “vicino di banco” per intraprendere una chiaccherata segreta con lui, un bisbiglio nitido soltanto tra i due interlocutori ma del tutto incomprensibile ai rimanenti giocatori. Utile per condividere una strategia, se vi fidate abbastanza del vostro vicino, ma rischioso ai restanti occhi – che potrebbero intuire in questo la necessità di nascondere qualcosa…
La magia di Werewolves Within, insomma, è quella di riuscire a convincere il giocatore di essere di fronte ad altri esseri umani, piuttosto che ad avatar controllati da un visore di nuova tecnologia. Una magia avvincente ed entusiasmante già dai primissimi incontri, grazie anche alla capacità dello sviluppatore di ricreare un universo, per quanto contenuto, evocativo e ricco di personalità. Un falò nel cuore della piazza cittadina o un raduno tra il colonnato dell’enorme Chiesa che sovrasta Gallowston: non sono moltissime le location offerte da Ubisoft, ma non ce n’è una priva di carisma, di quel fascino fantasy a cui la letteratura medievale ci ha abituato. Il tutto coronato da una direzione artistica non certo trascendentale, ma che con quello stile buffo e vagamente cartoonish si dimostra quanto più efficace e funzionale allo scopo imposto dal gioco. Inutile disquisire sulla limitatezza quantitativa del parco animazioni: meglio sottolinearne piuttosto l’efficacia, l’impronta a metà strada tra comico e serioso che si manifesta attraverso sguardi arcigni, dita impietose puntate ad indicare presunta colpevolezza, personaggi iracondi che stringono le braccia mentre, in sottofondo, le voci dei giocatori si scatenano alla ricerca di indizi.
La magia di Werewolves Within è riuscire a convincere il giocatore di essere di fronte ad altri esseri umani
Voci che hanno iniziato a parlare anche la nostra lingua, rendendo la partecipazione ad una partita un’impresa meno ardua di quanto non fosse anche solo tre giorni fa. Werewolves Within determina autenticamente la lingua di gioco in base alle impostazioni della console, obbligando chiunque voglia mettere alla prova la propria conoscenza linguistica straniera ad un cambio di opzioni nell’apposito menu di PS4 – non sarà infatti possibile selezionare la lingua dinamicamente in game. Chiunque si avvicini in questi giorni, tuttavia, potrà contare sulla presenza di una community di appassionati in ragionevole aumento, fattore che renderà l’attesa della connessione indubbiamente più veloce ed indolore. Ma non pensiate che, una volta seduti attorno a quel famigerato tavolo, basti un po’ di parlantina per avere vita facile: il nemico può sedersi ovunque lì intorno a voi. E nessuno vi garantisce che sia quello con i canini più affilati.
Werewolves Within, senza mezzi termini, è stata la sopresa più grande che abbiamo incontrato in questi primi mesi di realtà virtuale. Divertente ed accessibile praticamente da chiunque, la rivisitazione targata Ubisoft del celebre Lupus in Tabula – e della genia di giochi da società da cui quest’ultimo eredita le proprie origini – è qualcosa che infrange le nostre aspettative iniziali. Un titolo che sfrutta come mai nessun altro prima le potenzialità della VR, andando oltre la semplice (si fa per dire) creazione di un universo a 360 gradi per regalare un’esperienza così coinvolgente, schietta e diretta da cui è difficile staccarsi senza alcuna remore. Del resto, cinque minuti a partita, pochi secondi di caricamento da un incontro all’altro: chi sono io per dire di no ai miei nuovi amici, che sono ancora seduti al loro posto in attesa della nuova “lotta” ai Licantropi? Il prodigio del titolo Ubisoft risiede proprio in questo, nel trasportarci quasi fisicamente all’interno di Gallowston, nell’andare oltre il semplice concetto di avatar videoludico per intravedere, dietro quelle buffe sagome dallo stile cartoon, persone in carne ed ossa. Persone coinvolte come noi in un gioco di fugaci verità e mendaci menzogne, dove l’inganno ben studiato può rivelarsi la chiave di volta per il successo, dove il sangue freddo e l’analisi del comportamento altrui finiscono inesorabilmente per essere interrotti da fragorose risate e battute più o meno scollacciate. Proprio come se ci fossero davvero cinque, sei, sette amici attorno al nostro tavolo, convinti dal gelo invernale ad una serata al coperto e pronti a tirar mattina a suon di smorfie strane, di mezze bugie sibilate, di improvvisate cooperazioni “al buio” con il proprio vicino di posto. Il tutto sperando che la persona che ci siede vicino e ci bisbiglia all’orecchio con accomodante voce di intesa non sia proprio quella creatura che, da lì a pochi minuti, potrebbe banchettare sulle nostre spalle. |
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