Londra – I nazisti, in casa Bethesda, non muoiono mai. Non sono serviti altri motivi per farci salire a bordo dell’ennesimo volo e raggiungere gli uffici europei del prolifico Publisher con sede nel Maryland, desiderosi più che mai di tornare ad indossare i panni del leggendario Blazkowicz (dopo un fugace assaggio nel corso dell’ultimo E3) e di provare una nuova, ricca build del già attesissimo sparatutto – disponibile, ve lo foste scordati, a partire dal prossimo 27 Ottobre. Uno sparatutto per cui ogni presentazione rischierebbe quasi di apparire superflua: un marchio iconico nella storia del videogioco, quello di Wolfenstein, tirato a lucido soltanto tre anni fa dalla stessa Bethesda con un’accoppiata, The New Order e The Old Blood, la cui qualità parla da sola. Il tutto senza contare l’hype esagerato che ha fatto seguito all’annuncio ufficiale del gioco, ancora una volta in quel di Los Angeles, coronato da un gameplay trailer sensazionale – capace, in nove entusiasmanti minuti, di aumentare oltre i livelli di sicurezza la salivazione dei propri spettatori. E allora pronti via, che servirà pur qualcuno a porre freno alla pericolosa avanzata dei soldati del Reich.
Wolfenstein II: The New Colossus è una di quelle produzioni che parte con delle idee ben chiare nella propria testa: da un lato, convincere gli affezionati che, nonostante tutto, il famigerato Terror-Billy di cose interessanti da fare ne ha ancora parecchie, dall’altro attrarre a sé un pubblico ancora maggiore rispetto a quello degli ultimi anni, facendo leva su un binomio narrazione/gameplay convincente mai come oggi nell’intera storia del franchise. Il tutto, inutile quasi sottolinearlo, condito con una lunghissima serie di sorprese, citazioni più o meno autoreferenziali e rimandi ad altre figure ben note ai numerosi aficionados dell’eterna lotta allo strapotere nazista: un potere che mai come dal prossimo Ottobre rischia di divenire incontrollabile. Ma mettetevi comodi, che il bello inizia ora.
Wolfenstein II: The New Colossus riprende la narrazione dal termine degli eventi narrati nel capitolo maggiore precedente (The New Order), andando ad estendere con particolare ingegno un universo già di indiscutibile fascino: dopo l’estenuante lotta col Dottor Wilhelm “Deathshead” Strasse, geniale mente operativa del Reich capace di sovvertire l’esito di un conflitto praticamente già scritto, Blazkowicz si ritrova in fin di vita – ok che stiamo parlando di un duro come pochi, ma provate voi a sopravvivere all’esplosione di una granata ad un palmo dal vostro naso – con metà esercito nazista alle calcagna. L’anno è il 1961, e mentre il nostro eroe lotta duramente per uscire dal coma e sopravvivere alle letali ferite che ne costellano il corpo, l’armata teutonica non è certo rimasta con le mani in mano, spingendosi oltre l’oceano ed estendendo la propria ombra su tutti gli Stati Uniti. Risultato, un unico gigantesco Reich che si estende su due continenti e, di lì a breve, destinato a stringere l’intero pianeta in un’oppressiva e spietata dittatura. O meglio, questi sarebbero i piani dei fastidiosi “crucchi”, convinti di aver dato il ben servito all’odiato nemico di sempre: non fosse che lo stesso Blazkowicz, rintracciato dai Nazisti a bordo di una nave americana, si sveglia prima che la situazione degeneri del tutto. E anche a bordo di una sedia a rotelle, con placche di metallo e cicatrici sparse per metà busto, dispensa democrazia tra le file nemiche come non ci fosse un domani.
Insomma, l’obiettivo di Bethesda e MachineGames (sviluppatore ormai storico di questo nuovo ciclo del brand) è quello di descrivere una seconda Guerra d’Indipendenza degli USA, tenuti sì in scacco da una potenza contro cui le armi convenzionali non sembrano avere molto effetto ma, fortunatamente, ancora ricchi di ribelli che tutto vogliono tranne che i piedi dei Nazi sopra la fronte. Ribelli che organizzano una Resistenza armata in piena regola, che tra sotterfugi, rischi enormi e trovate brillanti si estende sotto il naso dei nemici da un capo all’altro del continente. E che non teme certo di sporcarsi i vestiti con qualche frattaglia mitteleuropea, dovesse mai ostacolare il cammino per l’Indipendenza. Fatta questa doverosa contestualizzazione narrativa, ecco cosa abbiamo provato “più da vicino” in quel di Londra, ospiti (felicissimi, NdR) dei ragazzi di Bethesda: due sessioni di gioco, per una durata complessiva di circa due ore – inclusa una manciata di impietosi retry – ambientate rispettivamente nel primissimo livello di gioco la prima (la medesima porzione che già avevano affrontato lo scorso giugno in occasione della kermesse losangelina) e in una fase più avanzata del playthrough – circa ad un terzo dell’avventura principale – la seconda.
Per la prima di queste due sessioni (The Reunion), una folle fuga a bordo di una sedia a rotelle sbudellando nazisti a destra e a manca (cercando non cadere vittime delle stesse trappole magnetiche disseminate nella nave) vi rimandiamo alla lettura della nostra precedente anteprima, concentrandoci invece sulla missione Roswell. Una missione di quelle assurde, ambientata nell’omonima cittadina del New Mexico alla ricerca di una segretissima base militare tedesca, al cui interno vengono condotti esperimenti con una tecnologia aliena per approfondire gli studi teutonici sull’antigravità. Non sembrasse abbastanza folle una città del New Mexico bardata in perfetto stile Deutschland, a rendere tutto ancora più memorabile ci penserà Blazko, che travestito da pompiere porta con sé una testata nucleare in miniatura da utilizzare per trasformare l’Oberkommando in un mucchietto di polvere radioattiva. Quando si dice “mezze misure”…
Le potenzialità di questo secondo “Wolfenstein di ultima generazione” sono a dir poco evidenti
Al netto di nuove tipologie di soldato corazzato, alcune delle quali dotate di equipaggiamento speciale che permette di muoversi fulmineamente in un breve intorno, difficile non accorgersi delle novità che lo sviluppatore ha introdotto in occasione di questo sequel. La gestione del dual wielding, tanto per iniziare, è completamente rinnovata: articolata su due ruote delle armi indipendenti, una per ciascuna mano, permette di equipaggiare una seconda arma – tra quelle disponibili – nella mano sinistra, lasciando ampio spazio di decisione al giocatore – non più costretto, come nell’episodio precedente, a combinazioni forzate. Già nelle fasi conclusive della seconda sezione di gioco, caratterizzata da una resistenza nemica più coriacea (e corazzata) della norma, il giusto equipaggiamento ci ha permesso di uscire vivi, seppur parecchio malconci, da un paio di scontri serrati. Restando in tema armi, particolarmente interessante è la meccanica di upgrade del nostro arsenale: sarà prima necessario rinvenire determinati kit di modifica, nascosti (spesso sadicamente) nello scenario, per poi accedere al menu di modifica dell’arma vero e proprio e, a titolo di esempio, installare un silenziatore, migliorare rinculo o capacità di colpi, ottimizzare la stabilità e il danno conseguente inferto.
Se in The New Order i “perk” per le armi erano temporanei o, in più di qualche occasione, “relegati” alla durata del livello corrente, in Wolfenstein II le modifiche apportate avranno carattere permanente: subentra dunque una leggerissima vena rolistica, per quanto decisamente semplificata, capace però di dare un ulteriore grado di libertà a chi stringe il pad tra le man. Tornano i perk del capitolo precedente, i cui effetti verranno sbloccati portando a termine determinati compiti secondari durante le missioni (effettuare 50 headshot, ad esempio, uccidere a mani nude un numero sufficiente di nazisti, eseguire una tripla kill o via dicendo): questa meccanica esaurisce tuttavia una sola delle due facce di Wolfenstein II, che vanta ora uno skill tree articolato su quattro macro-aree (che spaziano dalla tecnologia nazista-e-non-solo all’agilità o alla forza bruta) grazie a cui sviluppare ulteriormente le caratteristiche del nostro alter ego. Classicissima l’evoluzione di Terror-Billy: si completano missioni, si ottengono skill points, si da inizio alle danze.
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Ancora una volta ve l’abbiamo dipinta più semplice di quanto lo sia effettivamente, pad alla mano. Nel solo scenario Roswell, i meandri pattugliati dell’Area 52 (sì, questo il nome in codice dell’Oberkommando) nascondevano più di un paio di zone “segrete”, contenenti munizioni, armi varie o preziosi medkit. Che mai come nella nostra prova si sono rivelati determinanti: le condizioni precarie di Blazko, non ancora superati del tutto i traumi fisici a cui accennavamo all’inizio, vanno a cappare a 50 il livello di salute del nostro eroe. Dovessimo raggiungere un valore di salute maggiore sfruttando un kit, esso inizia comunque a scendere sino a fermarsi al suddetto tetto: dovessimo invece scendere sotto quella soglia, la nostra energia andrà a rigenerarsi sino al multiplo di dieci superiore più vicino. Tocca quindi affidarsi all’immancabile armatura, vero asso nella manica della Resistenza americana – che, pur non avendo mostrato le proprie capacità in questa demo, si è fatta abbondantemente notare nel gameplay trailer – e ai nostri secolari riflessi: mitragliatore o fucile a pompa, poi, faranno il resto. Dovessimo trovare un piccolo difetto a quanto provato, esso coincide con la riproposizione di alcuni pattern nella reazione dei nostri nemici dopo l’averci scoperto. In più di qualche sezione, alcune “hidden” ed altre obbligatorie, essere identificati ci ha obbligato a combattere dapprima con soldati “tradizionali”, verso cui sono poi corse in soccorso versioni più prestanti sino all’arrivo dell’immancabile Comandante: non che si tratti di un peccato in sé capitale, considerata anche un’AI ben più che ragionevole per un codice non avanzatissimo. Diciamo che, alla lunga, il reiterarsi di medesime situazioni potrebbe annoiare facilmente – specie in un titolo incline alla sorpresa come Wolfenstein.
Blazkowicz è tornato in grandissimo stile
Sul versante tecnologico, la build PC messa a disposizione da Bethesda si è dimostrata robusta e convincente, nonostante fosse afflitta da un paio di fastidiosi (tuttavia comprensibili) bug che, in un’occasione, ci hanno costretto ad affrontare l’avventura in quel di Roswell da capo. Buona la modellazione nemica, con un’interessante varietà in termini di modellazione e buona cura del dettaglio, sontuoso il charachter design – che, al netto dell’iconico Terror-Billy, getta su schermo personaggi assurdi, affascinanti e a tratti comici. Impossibile non sorridere di fronte al rapporto madre/figlia naziste, con la prima spietata, crudele fino al midollo osseo e con un corpo da paura nonostante l’età non più adolescenziale e al seconda goffa, decisamente più “morbida” ai lati ed incapace di stringere una pistola tra le mani senza tremare o muoversi con impaccio. Questo rappresenta senza dubbio il binomio più memorabile che questa visita a Londra ci ha presentato, fermo restante che anche all’interno della cricca di Blazkowicz di gente strana forte ce n’è a volontà: a prodotto finito, di sicuro, avremo di che divertirci. Applausi scroscianti, infine, per il level design, che ha mostrato il proprio apice proprio nelle strade di Roswell: la commistione tra New Mexico e stile tedesco, nonostante le forte rimembranze alla Fallout, è tanto insolita quanto convincente, al punto da obbligarci a girovagare per qualche minuto in città ad osservare l’esasperate iconografia nazista (presente pressoché in ogni dove, da buona invasione che si rispetti) per addentrarci solo dopo qualche minuto nella pericolosa base segreta.
Positivo anche l’impianto sonoro di Wolfenstein II: The New Colossus: non tanto per la colonna sonora in sé, che si è fatta udire in modo appena percettibile solo in alcuni passaggi, quanto piuttosto per l’esagerato lavoro di voice over che mescola tedesco e inglese in un’impensabile reinterpretazione made in the US. Sentire giovani donne, bambini o baristi mentre si sforzano di parlare un tedesco perfetto, nonostante quell’accento americano impossibile da nascondere, da un lato fa sicuramente sorridere (nonostante la scena che trovate nel trailer in basso, in apertura di Roswell, così tanto “carica” da ricordarci Christoph Waltz in Bastardi senza Gloria), ma dall’altro sottolinea ancora una volta l’importanza data a questo nuovo Wolfenstein da Bethesda. Di cui, inutile dirlo, ci ritroveremo nuovamente a parlare nelle prossime settimane.
Dopo questa prima prova senza ossessione del tempo di Wolfenstein II: The New Colossus, impossibile non aver salutato Londra con un sorriso soddisfatto sulle labbra. MachineGames e Bethesda hanno giocato il proverbiale asso nella manica, presentando un titolo che testimonia a gran voce l’appartenenza e il rispetto al proprio passato ma, nonostante tutto, non smette di rinnovarsi e di rinfrescare il proprio gameplay con elementi interessanti e nuove possibilità di gioco. Dal nuovo dual wielding alla crescita di Terror-Billy, passando per nuove armature o armi upgradabili, le potenzialità di questo secondo “Wolfenstein di ultima generazione” sono a dir poco evidenti, e promettono di regalare ore ed ore di truce divertimento dalla fine del prossimo Ottobre. Sarà anche ferito, zoppicante e meno “in forma” di tre anni fa, ma Blazkowicz è tornato in grandissimo stile. E una cosa è certa: non vorremmo essere al posto dei Nazisti. |